Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di sostenibilità, in termini di edilizia, alimentazione e (ebbene sì) anche vino. Incrementare l’attenzione all’ambiente nel settore vinicolo e fare fronte al cambiamento climatico serve infatti a rendere più resistenti le viti, grazie anche al cosiddetto miglioramento genetico.
Al tempo stesso, si fa sempre più chiara la necessità di cambiare i disciplinari di produzione, che verranno integrati con regole relative proprio alla sostenibilità, tema che tocca non solo l’aspetto ambientale, ma anche economico, sociale ed etico.
La neutralità climatica
Ad aver posto come obiettivo il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050 in Europa è il Green Deal europeo, l’insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con questa finalità tanto ambiziosa quanto necessaria. La strada prevede la riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci, del 20% dei fertilizzanti e l’estensione della superficie agricola in bio del 25%,.
Come sostiene Attilio Scienza, dell’Università di Milano e consigliere scientifico della Biblioteca La Vigna “per conseguire una crescita sostenibile, competitiva ed efficace, il miglioramento genetico è la strada giusta. Esso può infatti dare risposte anche agli stress ambientali causati dal cambiamento climatico. Anche se, purtroppo, le soluzioni genetiche trovano molte resistenze ancora oggi”.
E ancora “La genetica è stata un tabù, uno strumento diabolico, fino agli inizi del Novecento, mentre adesso è arrivato il tempo in cui l’Università e gli enti di ricerca possono collaborare per rendere molti vitigni autoctoni italiani più resistenti”.
Senza dimenticare i vincoli burocratici: prima dell’autorizzazione alla coltivazione è necessaria una sperimentazione in ogni territorio. “Per poterli utilizzare è necessario per prima cosa spostarli nel Registro delle Varietà come “vinifera” – riprende Scienza – e intanto nelle Igt, come una sorta di banco di prova, così come ha fatto la provincia di Bolzano”.
Inoltre si potrebbe ricorrere anche al “principio di contiguità” che permette di richiedere l’autorizzazione per vitigni già sperimentati nella Regione contigua, in una specie di domino che ne acceleri la diffusione.
La creazione di varietà resistenti
“L’obiettivo – spiega ancora Attilio Scienza – è la creazione di varietà resistenti di qualità, per ottenere una resistenza totale e duratura alle principali malattie. Questo perché la semplice tolleranza non è compatibile con una drastica riduzione dei trattamenti.
In Italia serve una strategia nazionale e una comunicazione che sappia declinare attorno ai vitigni resistenti le parole guida del vino: territorio, sostenibilità ambientale, cambiamento climatico e vitigni autoctoni. Dove per autoctonia si intenda la miglior interazione tra vitigno e luogo di coltivazione, perché i resistenti danno vini molto diversi a seconda dell’ambiente”.
Ecco che allora, in un contesto di rapida evoluzione del clima, delle varietà e delle modalità di produzione verso modelli sempre più sostenibili, occorre aggiornare anche i disciplinari di produzione. Questi devono contemplare anche la certificazione di sostenibilità, aspetto di cui da un po’ di tempo si occupa anche Valoritalia, ente che certifica il 60% dei vini a denominazione in Italia.
Le certificazioni di sostenibilità
Le certificazioni di sostenibilità sono frutto di strategie condivise e, fondandosi su criteri oggettivi, possono essere validate da un ente terzo che ne verifica il rispetto, l’adozione e l’efficacia. L’offerta delle certificazioni green in ambito vitivinicolo in Italia è abbastanza varia.
Se, da una parte, la strada è già tracciata, dall’altra occorre però fare di più, a livello di territorio, consapevolezza del cambiamento climatico e difesa dei vitigni autoctoni.
(Articolo tratto da Winenews)