Nel cuore delle Langhe, a due passi da Barolo, è possibile scoprire una giovane realtà vinicola, dal nome strano, ma incisivo: Ghëddo.
Il significato del suo nome anticipa quella che è una realtà unica: nel dialetto piemontese Ghëddo significa “uno slancio, uno stile personale in grado di fare la differenza, un tono spiritoso che rende autentica una persona”. E Giovanni Pippia e Mattia Benedetti, i due fondatori, sicuramente hanno il Ghëddo.
“Siamo una piccola e giovane azienda, non abbiamo né araldi né storia a cui appellarci eccetto quella del nostro territorio, che rispettiamo e valorizziamo” scrivono sul loro sito.
Affascinati dal loro mondo, decidiamo di incontrarli.
Ciao Giovanni, com’è iniziato tutto?
Quella del vino è una passione che accomuna me e Mattia (il socio fondatore di Ghëddo, ndr) da sempre. Dopo la mia laurea in Agraria e la sua in Antropologia, abbiamo iniziato a cercare dei terreni nella zona di Barolo per creare una nostra produzione di vino.
Che idea avevate all’inizio?
La nostra idea originaria era di creare un piccolo progetto vinicolo che crescesse piano piano, passo dopo passo.
Abbiamo iniziato nel 2014 a produrre dei vini comprando uve da persone fidate del luogo e poi, nel 2017, abbiamo iniziato a produrre noi, direttamente, tre tipologie di vini. Attualmente ne produciamo cinque: il Dolcetto d’Alba, una Barbera d’Alba Superiore, un Langhe Nebbiolo, il Tinaar (un vino bianco) e il Barolo.
E’ stato un percorso lento, graduale, che ci ha portato, oggi, ad avere due terreni di nostra proprietà e due in affitto.
Di che cosa vi occupate, oggi, in Ghëddo?
Io mi occupo della parte “pratica”, mi definisco “il braccio di Ghëddo”, mentre Mattia segue più la parte commerciale e amministrativa.
Avete incontrato delle difficoltà nella realizzazione di questo vostro sogno?
Certamente sì. Come tutte le nuove sfide, abbiamo avuto momenti tosti, come quando, all’inizio, abbiamo cercato il primo terreno in questa zona, che di fatto non è assolutamente a buon mercato.
Posso dire che, quando ci si muove in questo territorio all’inizio, è come se si trovasse una sorta di “sbarramento”, nel senso che devi conquistarti la fiducia delle persone del luogo.
Mostrandoci seri e professionali siamo riusciti, attraverso la rete di persone fidate, a trovare terreni a buon mercato.
Anche per il discorso della cantina, inizialmente siamo stati ospitati da un amico, poi ne abbiamo trovata una nostra da affittare, che apparteneva ad un vecchio produttore del luogo.
Si può dire che la vigna e la cantina siano il vostro mondo.
Anche il ciabòt! E’ un termine dialettale che indica un un edificio rurale in cui i contadini stoccavano attrezzi e animali, un po’ come un bivacco di montagna.
Quando io e Mattia, per puro caso, lo abbiamo scoperto, siamo risaliti alla sua proprietaria, una maestra di La Morra, che piano piano ha deciso di affittarcelo. Lo abbiamo restaurato completamente donandogli nuova vita, e attualmente organizziamo degustazioni e vendite dei prodotti.
Come vi approcciate al turismo, che in questa zona è molto forte?
Organizziamo quotidianamente delle gite in vigna, per far scoprire dal vivo il nostro lavoro a tutti gli appassionati (e non).
Dopo il tour in vigna, accompagniamo gli ospiti nel nostro ciabòt per assaggiare i vini, ed è bellissimo vedere tanti turisti provenienti da Paesi lontani che mostrano un interesse e una conoscenza così approfondita dei vini di questa zona! Gli orientali per esempio, ma non solo. Per noi è sempre un’occasione di confronto e di arricchimento continuo.
Per organizzare questi tour vi appoggiate a persone del luogo?
Assolutamente sì. Coinvolgiamo una/un tirocinante all’anno di diverse università, soprattutto quella Slow Food di Pollenzo. Finora abbiamo sempre avuto delle esperienze molto positive e abbiamo incontrato dei giovani entusiasti di questo lavoro, che abbiamo poi sempre aiutato a trovare un impiego nel settore.
Per voi, produrre vino che cosa significa?
Innanzitutto essere attenti all’ambiente e alle persone.
Cerchiamo, per quanto possibile, di seguire i ritmi naturali delle nostre vigne, non stressandole eccessivamente. Nelle Langhe c’è la monocultura, questo significa che di fatto c’è solo la vigna e pochi noccioli: questo, indubbiamente, impoverisce un po’ il terreno, quindi cerchiamo di coltivare anche i funghi (io li ho studiati molto e ho una vera passione).
In che senso?
I funghi sono dei veri alleati naturali per le nostre piante, perchè le rinforzano e le aiutano ad assorbire meglio tutti i nutrienti. Quindi, per usare un tecnicismo, abbiamo micorizzato le nuove piante insieme ai funghi, facendole crescere insieme. E’ un aiuto fondamentale in queste annate difficili e imprevedibili.
Invece la vostra attenzione alle persone come si traduce?
Noi parliamo sempre di “sostenibilità della manodopera”, nel senso che collaboriamo con cooperative sane, etiche, che non sfruttano le loro persone. Per noi questo è un valore fondamentale che guida il nostro lavoro e che ci accompagna anche nella scelta della filiera di vendita dei nostri vini.
Che tipo di consiglio ti sentiresti di dare ad un giovane appassionato di vini che desidera creare una proria realtà in Italia?
Gli direi sicuramente che, se desidera lavorare nel mondo del vino, non avrà grandi difficoltà, poiché è un settore trainante della nostra economia. Ovviamente occorre fare gavetta e, come dico sempre io, “sporcarsi le mani”, anche con esperienze faticose.
E poi serve una vera passione per questo lavoro, perché altimenti, nei momenti di difficoltà, è complicato andare avanti.
Noi in Ghëddo, per esempio, ci divertiamo ancora, e per me è una cosa bellissima, che rende il nostro lavoro davvero unico.